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Arsione del corpo umano e diritto islamico

Analisi storica e giuridica sull’uso del fuoco sul corpo umano nel contesto islamico, tra divieti della sharia e pareri dei giuristi, con un approfondimento specifico sulla cremazione.

03 dicembre 2025, di Mostafa Milani Amin


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L’arsione del corpo umano è vietata dalla tradizione profetica e dalla sharia. La sepoltura secondo le disposizioni islamiche resta l’unica modalità legittima e rispettosa per trattare il corpo del defunto.

La questione dell’impiego del fuoco sul corpo umano nel contesto islamico coinvolge due aspetti principali: il suo uso come forma di punizione e il trattamento del corpo del musulmano dopo la morte. Pur se alcune fonti storiche registrano episodi controversi, la Sharia e la Sunna vietano in maniera unanime l’impiego del fuoco, sia a fini punitivi sia funerari. Per chiarire questo divieto, si richiamano sinteticamente alcune testimonianze storiche e i principali pareri giuridici contemporanei, offrendo un quadro chiaro e completo dell’argomento.

Ibn Taymiyya e la punizione con il fuoco

Alcuni seguaci di Ibn Taymiyya, nel corso dei secoli, hanno cercato di giustificare atti estremamente violenti, come bruciare persone o mutilarne i corpi, facendo riferimento a una sua fatwa. Nel libro al-Mustadrak ‘alā Majmū‘ al-Fatāwā (vol. 3, p. 223, ed. curata da Muḥammad b. ʿAbd al-Raḥmān b. Qāsim), Ibn Taymiyya afferma che la mutilazione (al-muthla) sarebbe un diritto dei musulmani: secondo lui “possono praticarla per ottenere giustizia o per vendicarsi, ma possono anche astenersene, e la pazienza è considerata preferibile”.

Tali pratiche, secondo Ibn Taymiyya, sarebbero ammesse solo quando non superano i limiti del jihad e non costituiscono punizione eccessiva. Se invece la mutilazione, quando è pratica diffusa, ha lo scopo di invitare alla fede o di allontanare dall’inimicizia, allora rientrerebbe nell’ambito dell’applicazione delle pene legittime e del jihad autorizzato. Tuttavia, egli precisa che, nel caso della battaglia di Uhud, non sarebbe così.

Anche Ibn Muflih al‑Maqdisi conferma questa lettura, sottolineando che la giustizia, secondo i principi islamici, non può sfociare in punizioni eccessive. In definitiva, pur esistendo passaggi che alcuni seguaci di Ibn Taymiyya hanno cercato di utilizzare per normalizzare pratiche violente, il nucleo dell’insegnamento di Ibn Taymiyya — così come trasmesso da Ibn Muflih al‑Maqdisi — privilegia la moderazione e non autorizza l’uso del fuoco come forma ordinaria di punizione.

Episodi storici di esecuzioni tramite il fuoco

Khalid ibn al-Walid – Alcune cronache storiche riportano che Khālid ibn al-Walīd condannò al rogo diversi ribelli durante le guerre della ridda (ovvero le rivolte scoppiate subito dopo la dipartita del Profeta dell’Islam), un episodio ampiamente documentato. Shams ad-Dīn Al Dhahabī (Tārīkh al-Islām, vol. 3, Beirut, 1987, prima edizione, a cura di ʿUmar ʿAbd al-Salām Tadmirī) riferisce che Khālid ordinò di costruire una fossa, accendere il fuoco e vi gettò gli apostati catturati. Anche Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb cita l’episodio, sottolineando come Khālid vietasse persino di cucinare o scaldare acqua senza che l’incendio fosse alimentato dalle teste degli apostati. Fonti come ʿAbd al-Razzāq al-Sanʿānī, Badr al-Dīn ʿAynī e Ibn Ḥajar al-ʿAsqalānī confermano l’azione, evidenziando che si trattò di un episodio storico documentato, eccezionale e non norma religiosa.

Abu Bakr ibn Abi Quhafa – Ya‘qūbī e Ibn al-Athīr narrano che Abu Bakr (primo califfo secondo i sunniti) ordinò la condanna al rogo di Ibn al-Fuja’ah al-Sulami, nonostante fosse musulmano, dopo che era stato accusato di rapine e di minacciare i viaggiatori. Al-Durar al-Sunniyyah conferma che l’uomo fu bruciato vivo. Ibn al-Athīr (Usd al-Ghabah fī Maʿrifat al-Ṣaḥābah, vol. 2, p. 457, Dar al-Fikr) e altre fonti, come Al-Mu‘jam al-Kabīr di al-Ṭabarānī, attestano l’episodio, sottolineando che si trattò di un episodio storico eccezionale, e non di una norma religiosa. Testimonianze successive riportano inoltre che Abu Bakr, negli ultimi giorni della sua vita, espresse rimpianto per aver ordinato l’esecuzione in quel modo.

Mu‘awiya ibn Abi Sufyan – Le fonti storiche riportano che, oltre a persone vive, si ricorse al fuoco anche per i corpi dei defunti. At-Ṭabarī, nella sua celebre opera Tārīkh al-Rusul wa al-Mulūk (vol. 4, p. 79), narra l’uccisione e l’arsione di Muḥammad ibn Abī Bakr (figlio del primo califfo secondo i sunniti) da parte di Mu‘āwiyah: “Mu‘āwiyah si adirò, lo mise davanti a sé, lo uccise, poi lo collocò all’interno della carcassa di un asino e lo diede alle fiamme. Quando la notizia giunse ad ʿĀ’ishah, moglie del Profeta e sorella di Muḥammad ibn Abī Bakr, ella si straziò profondamente e, durante il qunūt nelle preghiere, invocava maledizione su Mu‘āwiyah e ʿAmr ibn al-ʿĀṣ”.

Il divieto del Profeta di infliggere torture mediante il fuoco

A dispetto di questi incresciosi avvenimenti e di alcune fatwā deviate e devianti, numerose narrazioni attestano che il Profeta (pace e benedizioni su di lui e sulla sua Famiglia) proibì di bruciare esseri umani. La celebre opera sunnita Ṣaḥīḥ al-Bukhārī (vol. 4, p. 61, Dar Ṭawq al-Najāt, prima edizione, 1422 H) riporta:

حَدَّثَنَا قُتَيْبَةُ بْنُ سَعِيدٍ، حَدَّثَنَا اللَّيْثُ، عَنْ بُكَيْرٍ، عَنْ سُلَيْمَانَ بْنِ يَسَارٍ، عَنْ أَبِي هُرَيْرَةَ رَضِيَ اللَّهُ عَنْهُ، أَنَّهُ قَالَ: بَعَثَنَا رَسُولُ اللَّهِ صَلَّى اللهُ عَلَيْهِ وَسَلَّمَ فِي بَعْثٍ فَقَالَ: إِنْ وَجَدْتُمْ فُلاَنًا وَفُلاَنًا فَأَحْرِقُوهُمَا بِالنَّارِ، ثُمَّ قَالَ رَسُولُ اللَّهِ صَلَّى اللهُ عَلَيْهِ وَسَلَّمَ حِينَ أَرَدْنَا الخُرُوجَ: إِنِّي أَمَرْتُكُمْ أَنْ تُحْرِقُوا فُلاَنًا وَفُلاَنًا، وَإِنَّ النَّارَ لاَ يُعَذِّبُ بِهَا إِلَّا اللَّهُ…

Qutaybah ibn Saʿīd ci ha narrato che al-Layth ci ha narrato da Bukayr, da Sulaymān ibn Yasār, da Abū Hurayrah che disse: «Il Messaggero di Allah ﷺ ci inviò in una spedizione e disse: “Se trovate tale e tale, bruciateli col fuoco”. Poi, quando ci accingemmo a partire, il Messaggero di Allah ﷺ disse: “Vi ho ordinato di bruciare tale e tale, ma il fuoco è un castigo che appartiene solo ad Allah…».

In altre parole, Abū Hurayrah chiarisce che il Profeta inizialmente diede un ordine severo, ma subito dopo lo revocò, precisando che il fuoco è un castigo riservato unicamente a Dio. In questo gesto si riflette la saggezza profetica: da un lato evidenziare l’estrema gravità dei crimini di quei due individui, dall’altro ribadire che la sharia vieta ai musulmani qualsiasi forma di punizione eccessiva, e in particolare l’uso del fuoco, che appartiene esclusivamente ai castighi divini e non può perciò essere adottato dagli uomini.

In un’altra narrazione del sommo Profeta, riportata nel Musnad di Aḥmad (vol. 7, p. 118, Dār al-Risālah, prima edizione, 1421 H), leggiamo:

حَدَّثَنَا عَبْدُ الرَّزَّاقِ، أَخْبَرَنَا سُفْيَانُ، عَنْ أَبِي إِسْحَاقَ الشَّيْبَانِيِّ، عَنِ الْحَسَنِ بْنِ سَعْدٍ، عَنْ عَبْدِ الرَّحْمَنِ بْنِ عَبْدِ اللَّهِ، عَنْ عَبْدِ اللَّهِ، قَالَ: كُنَّا مَعَ النَّبِيِّ صَلَّى اللهُ عَلَيْهِ وَسَلَّمَ، فَمَرَرْنَا بِقَرْيَةِ نَمْلٍ، فَأُحْرِقَتْ، فَقَالَ النَّبِيُّ صَلَّى اللهُ عَلَيْهِ وَسَلَّمَ: لَا يَنْبَغِي لِبَشَرٍ أَنْ يُعَذِّبَ بِعَذَابِ اللَّهِ عَزَّ وَجَلَّ

ʿAbd Allāh ci ha narrato da suo padre, che ha narrato da ʿAbd al-Razzāq, che Sufyān ci ha narrato da Abū Isḥāq al-Shaybānī, da al-Ḥasan ibn Saʿd, da ʿAbd al-Raḥmān ibn ʿAbd Allāh, che ʿAbd Allāh disse: «Eravamo con il Profeta ﷺ e passammo davanti a un formicaio che era stato incendiato. Allora il Profeta ﷺ disse: “È indegno che un uomo infligga un castigo che appartiene solo ad Allah, Glorioso e Magnifico”».

Ebbene, se il Nobile Profeta dell’Islam provava profondo dispiacere per l’arsione di un formicaio, figuriamoci per le sofferenze inflitte agli esseri umani. Passando davanti al formicaio incendiato, egli dichiarò solennemente che punire con il fuoco è un atto riservato solo a Dio. Questo episodio mette in luce il principio fondamentale di rispetto per la vita e per l’inviolabilità della creazione, sancito dall’Islam, e ribadisce la condanna morale e legale di ogni forma di tortura o punizione eccessiva.

La cremazione dei corpi nel contesto giuridico islamico contemporaneo

La cremazione è categoricamente vietata nell’Islam, sia secondo il diritto sunnita sia secondo il diritto sciita. Tutte le scuole giuridiche sunnite concordano sul fatto che il corpo del musulmano debba essere sepolto secondo le norme religiose, e qualsiasi disposizione testamentaria che richieda la cremazione è invalida. Allo stesso modo, la scuola sciita jafarita proibisce la cremazione, con ulteriori indicazioni sul pentimento e sul pagamento della diya (compensazione legale) in caso di trasgressione.

Ci concentreremo ora sull’analisi della cremazione secondo il diritto sciita jafarita, esaminando sinteticamente le questioni principali e i pareri di alcune delle maggiori autorità religiose sciite contemporanee, al fine di offrire un quadro chiaro e completo dell’argomento.

La cremazione nel diritto islamico contemporaneo solleva questioni rilevanti, sia sul piano morale sia su quello giuridico. Ci si interroga, in particolare, se un musulmano possa disporre della cremazione del proprio corpo, se la sua esecuzione costituisca un peccato e quale sia il dovere dei familiari nel caso in cui la cremazione venga eseguita contro la loro volontà.

Le norme generali della sharia sono chiare e inequivocabili: il corpo del musulmano deve essere sepolto secondo le prescrizioni islamiche. Qualsiasi disposizione testamentaria che richieda la cremazione è nulla e priva di efficacia. Chiunque proceda alla cremazione commette un grave peccato e deve pentirsi sinceramente; alcune scuole giuridiche aggiungono che, se il corpo viene completamente bruciato, può essere dovuto il pagamento della diya, una compensazione legale islamica, pari all’equivalente di 100 antichi dinari aurei islamici.

Le principali autorità sciite contemporanee offrono indicazioni coerenti e dettagliate. L’Ayatollah Khamenei conferma il divieto assoluto della cremazione, chiarendo che, qualora altri decidano di eseguirla contro la volontà dei familiari, il loro dovere si limita a vietarla. L’Ayatollah Makarem Shirazi ribadisce che chi esegue la cremazione deve pentirsi e versarne la diya. L’Ayatollah Sistani sottolinea l’invalidità di ogni disposizione testamentaria contraria alla sepoltura. L’Ayatollah Noori Hamedani specifica che il testamento non ha alcuna validità, che l’atto è haram (proibito) e che comporta anche il pagamento della compensazione.

Conclusione

In sintesi, l’Islam proibisce categoricamente l’arsione del corpo umano, sia come forma di punizione sia come rito funerario. Gli episodi storici di uso del fuoco, discussi sopra, costituiscono gravi deviazioni: sono eccezioni documentate, totalmente contrarie alle norme religiose, e non devono essere interpretate come legittimazioni della pratica. La sepoltura secondo le regole islamiche rimane un obbligo imprescindibile, e qualsiasi disposizione testamentaria contraria è nulla. Chi pratica la cremazione commette un grave peccato e, secondo alcune autorità, è tenuto a pagare anche una diya, poiché ciò viola il principio fondamentale del rispetto della dignità del corpo e della vita, nonché l’osservanza delle norme divine. Questo principio rafforza l’inviolabilità della creazione e la responsabilità morale e legale di ogni musulmano nel trattare con rispetto i defunti.


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