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Il martire come testimone della Realtà

Un saggio sulla visione del martire come accesso diretto alla realtà dell’Essere: tra neuroscienze, fenomenologia e metafisica islamica, il testo esplora il superamento dei modelli mentali e l’annullamento del sé‑modello per ritrovare il sé‑reale.

11 dicembre 2025, di Mostafa Milani Amin


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Il martire è colui che, ignorando il modello, vede la realtà dell’Essere e ne diventa eterno testimone: la sua visione nasce dal ritorno alla Realtà e dal ricongiungimento con Essa, quando l’uomo si riscopre nella Realtà e annulla il sé‑modello per ritrovare il sé‑reale.

Il martire è colui che vede. Non in senso retorico, ma epistemologico: è colui che, ignorando il dominio delle rappresentazioni mentali — modelli, previsioni, concetti — accede a un contenuto percettivo immediato. La sua testimonianza nasce dalla visione diretta.

Paura e desiderio appartengono al livello modellistico della mente. Le neuroscienze cognitive, in particolare il predictive processing, mostrano che il cervello non registra passivamente il mondo: costruisce modelli predittivi e interpreta gli stimoli come conferme o smentite di tali modelli. Emozioni come paura e brama emergono come risposte agli errori di previsione interna, non come reazioni a dati oggettivi. Quando il modello perde validità e si apre uno spazio di percezione immediata, queste dinamiche si attenuano: non per incoscienza, ma perché l’individuo smette di confondere il modello con la realtà.

In filosofia della conoscenza, questo è il passaggio dalla rappresentazione alla presenza. Husserl lo chiamava “ritorno alle cose stesse”, indicando la necessità di descrivere l’esperienza prima dell’intervento dei concetti. Mulla Ṣadrā definiva questo stato ʿilm ḥuḍūrī, conoscenza presenziale in cui soggetto e oggetto non sono separati da mediazioni concettuali. La fenomenologia contemporanea parla di “contatto preriflessivo con il reale”. E la fisica quantistica, distinguendo tra osservatore e osservabile, ricorda che ogni misura è filtrata da un apparato interpretativo: il martire, in questa definizione, sospende tale apparato e osserva ciò che rimane.

Questa è la vita cosciente. Non la vita biologica, che può procedere per inerzia, ma la vita in cui l’essere umano smette di abitare simulazioni concettuali e si ricongiunge con il reale. Finché restiamo immersi nei nostri modelli predittivi, viviamo in una realtà derivata, non nella realtà stessa.

Non si nega la realtà: si riconosce l’errore epistemico di confondere concetto e cosa, mappa e territorio, modello e fenomeno. È la stessa avvertenza che attraversa la metafisica islamica, la fenomenologia europea e la fisica teorica: un’equazione non è l’universo, una rappresentazione non è il fenomeno, un concetto non è la cosa.

Il martire è vivo perché vede. E noi siamo vivi solo nella misura in cui riusciamo, anche per un istante, a ignorare il rumore dei nostri modelli mentali e a lasciare emergere la struttura profonda della Realtà: l’annullamento del sé modello per ritrovare il sé reale, dove l’uomo si riscopre nella Realtà stessa.

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